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Tra passato industriale e prospettive di rinascita: il caso dell’impianto Liquichimica Biosintesi a Saline Joniche

Ghost: il fascino delle strutture abbandonate. Tra paesi fantasma, strutture che un tempo erano gloriose, ex fabbriche, ospedali, ville; i luoghi abbandonati esercitano sempre un fascino decadente, tanto da essere una meta ricercata da coloro che vengono definiti urban explorers.

11 Dicembre 2024
Redazione calcolostrutturale.com
La redazione di calcolostrutturale.com è composta da ingegneri edili, copy strategist ed esperti di marketing e comunicazione.

Negli anni ’70, la tensione politica e sociale in Calabria ha raggiunto il culmine con la rivolta di Reggio Calabria. In risposta a questa situazione e con l’obiettivo di rilanciare l’industrializzazione della regione e del sud Italia nel suo complesso, è stato istituito il “pacchetto Colombo”, un piano di investimenti che ha previsto lo stanziamento di oltre 1300 miliardi di lire.

Una parte di questi fondi viene quindi destinata per la costruzione dell’impianto Liquichimica Biosintesi a Saline Joniche, una frazione costiera del comune di Montebello Jonico, in provincia di Reggio Calabria.

L’impianto si estende per quasi due chilometri su una delle coste più a sud dello Stivale e occupa un’area totale di circa 700 mila mq. Il paesaggio in pochi anni cambia radicalmente, e l’area un tempo destinata alle saline, una volta bonificata e prosciugata, lascia spazio a nuovi edifici: cisterne, macchinari, impianti chimici e un porto, utilizzato per i rifornimenti della fabbrica. L’elemento più emblematico e significativo di queste modificazioni territoriali è l’alta ciminiera, che, con i suoi 174 metri d’altezza, è stata per un periodo tra le più alte d’Europa, e svetta tuttora nell’area abbandonata.

Lo stabilimento era destinato ad essere utilizzato per la produzione di bioproteine per mangimi animali, a partire dalla coltura di microorganismi su derivati del petrolio, ma è destinato ad avere vita breve: a distanza di pochi mesi i lavori vengono interrotti, in quanto i mangimi prodotti vengono etichettati come cancerogeni. Come conseguenza della chiusura dell’impianto, i 750 dipendenti neoassunti vengono messi in cassa integrazione e alcuni usciranno solo venti anni dopo.

Nonostante l’arresto delle attività, per evitare il totale degrado dell’impianto, per molti anni se ne è continuata a svolgere la manutenzione con la speranza che qualche investitore rilevasse lo stabilimento e ne convertisse la produzione. Speranza che purtroppo non si è mai concretizzata, per questo motivo si decide di interrompere la manutenzione abbandonando definitivamente la struttura e, nonostante il passaggio attraverso diverse proprietà degli anni successivi, nessuna iniziativa è stata in grado di rilanciare l’attività.

Situata in una posizione strategica, favorita anche dalla presenza del porto, l’area su cui sorge la struttura ormai abbandonata non è mai caduta completamente in disuso, e infatti per molti anni le infrastrutture e il porto collegati all’impianto furono utilizzati dalla criminalità organizzata per svolgere attività e traffici illeciti.

Di recente, l’Università Mediterranea di Reggio Calabria ha mostrato interesse per l’area circostante l’ex officina Liquichimica, proponendo un progetto di riqualificazione che prevede la creazione di un distretto dell’innovazione. Questo distretto favorirà la collaborazione tra enti di ricerca, imprese locali e aziende internazionali.

Accanto all’area dove sorgevano gli impianti inquinanti viene ideato un campus universitario, dotato di aule e laboratori, con la fiducia che la sua presenza aumenti l’interesse per la Liquichimica e permetta di trovare così i capitali necessari per la riqualificazione dell’intera area. Questo permetterebbe, a distanza di molti anni, di rilanciare il territorio e l’intera provincia, portando finalmente a termine quel disegno di valorizzazione ideato dal governo Colombo negli anni Settanta, offrendo anche nuove opportunità dal punto di vista lavorativo, creando oltre 400 posti di lavoro.

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