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Attualità

La geodinamica del devastante terremoto in Tibet

L’area colpita dal terremoto dello scorso 7 Gennaio e che ha causato la morte di 126 persone e oltre 200 feriti, si trova in una zona la cui pericolosità sismica è considerata tra le più alte del mondo.

17 Gennaio 2025
ing. Giuseppe Patraccone
ingegnere strutturista

Nel corso dell’ultimo secolo, si sono verificati importanti eventi sismici che hanno fatto registrare magnitudo superiori a 6.0: nel 2017 a Mainling, si registrò una scossa di magnitudo 6.9; nel 2015, in Nepal, un terremoto di magnitudo 7.8 seguito da una scossa di assestamento di 7.0, provocò la morte di circa 9000 persone; nel 1934 si verificò un devastante terremoto di magnitudo 8.0. Questi eventi e i molti altri di intensità minore, si sono verificati entro un raggio di circa 250 km rispetto all’epicentro dell’ultimo evento sismico, evidenziando l’alta pericolosità del sito.    

È noto che l’area è interessata da una zona di collisione tra le due placche indiana e eurasiatica e questo fenomeno è responsabile della formazione della catena dell’Himalaya. La lenta ma imponente azione di contrasto tra le placche, provoca un accumulo enorme di energia che periodicamente si libera attraverso delle fratture, dando origine ai terremoti.

Fonte Wikipedia

Da precisare che se le placche si muovono l’una rispetto all’altra, non c’è accumulo di energia poiché questa viene gradualmente dissipata attraverso il movimento, ma se le placche non si muovono, l’energia si accumula e prima o poi viene liberata tutta insieme.

Gli studiosi hanno individuato delle sezioni lunghe centinaia di chilometri all’interno di aree densamente abitate, comprese tra India, Nepal e Bhutan, dove le placche euroasiatica e indiana non presentano movimenti relativi, con un conseguente accumulo di energia tale da provocare terremoti anche di magnitudo superiore a 8.5.

Nello specifico le sollecitazioni che si generano sono di tipo compressivo e distensivo: la prima causa il conseguente innalzamento della superficie terrestre in corrispondenza della linea di contatto, dando origine alle catene montuose; la seconda provoca delle fratture generando la formazione di faglie. Ed è stata proprio l’attivazione di una faglia che ha  provocato il terremoto dello scorso 7 Gennaio.

Le dimensioni stimate dell’area di rottura sono di circa 45 km di lunghezza e 20 di larghezza.  

La faglia in questione è classificata come “normale a bassa profondità”: normale (o diretta) vuol dire che c’è stato uno scorrimento verso il basso di una delle due placche, detta “tetto” rispetto all’altra, che viene definita “muro”; per bassa profondità invece, si intende che la distanza del punto di rottura della roccia dalla superficie terrestre (ipocentro) è stata tale da considerare l’evento sismico di tipo “superficiale”; infatti la profondità dell’ipocentro è stata stimata in circa 5,5 km. Ma una bassa profondità del punto di frattura, si traduce in effetti sismici più devastanti.

Fonte Wikimedia Commons

I dati osservati, sia di tipo storico che di tipo geologico possono aiutare a valutare il rischio sismico dell’area in questione che, come detto, risulta densamente popolata, e a intraprendere azioni di prevenzione per la salvaguardia della vita.

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