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Lo Strutturista

Le vele di Sydney

“In un giorno in cui il vento è perfetto, basta solo spiegare le vele e il mondo si riempie di bellezza.” – Jalal ad-din Rumi

22 Febbraio 2023
Sydney
Ing. Daniele Borgogni
Ingegnere civile e libero professionista. Si occupa prevalentemente di progettazione in acciaio ed è un appassionato di storia delle strutture.

Nel 1606 il navigatore olandese Williem Janszoon approdò in un’isola sconosciuta: l’Australia. Utilizzata nel Settecento dal governo inglese come colonia penale per risolvere il problema del sovraffollamento delle patrie galere, l’isola fu vittima di una fama negativa. Ma, con il passare degli anni, ebbe la forza e le capacità di sfatare le voci secondo cui tutti gli australiani fossero dei criminali. Il culmine della ripresa avvenne nei primi anni del 1900. Ed è nel 1956 che venne proposta una sfida elettrizzante al mondo dell’Architettura: l’Australia era pronta per misurarsi con le grandi potenze mondiali nel campo della costruzione. Il Governo decise, pertanto, di destinare la parte più scenografica della baia di Sydney alla costruzione di un monumentale Teatro dell’Opera, che presentasse al mondo una rinnovata immagine del Paese. Venne, quindi, indetto un concorso internazionale e la risposta al bando fu incredibile.

Da ventotto paesi nel mondo, i più grandi architetti dell’epoca presentarono la bellezza di duecentoventi progetti! Il numero 218 portava la firma del trentottenne Architetto Danese Jørn Utzon. Figlio di un Ingegnere Navale, immaginò l’ Opera House come un mastodontico veliero che, a vele spiegate, avrebbe fatto il suo ingresso nella baia di Sydney.

Il giorno dell’esame del progetto tutti i giudici erano al loro posto tranne uno: il finlandese Eero Saarinen.

Saarinen quando vide l’idea di Utzon sulla carta ne rimase folgorato e, sebbene il giovane Architetto danese  fosse praticamente uno sconosciuto nel panorama architettonico mondiale, il giudice si impose e, non solo fece riammettere il progetto, ma convinse gli altri giudici della straordinarietà dell’idea di base, che presentava un concetto di Teatro dell’Opera in grado di farlo diventare uno dei più grandi edifici di tutto il mondo.  Quel progetto fu, alla fine, il vincitore. Questa vicenda, come era prevedibile, accese numerose polemiche.

Sfortunatamente emerse, dopo il verdetto, un problema che non era stato minimamente preso in considerazione in sede di concorso: Jørn Utzon non aveva la più pallida idea di come costruire le vele e di come farle stare in piedi. Il suo non era un progetto nell’accezione canonica del termine. Era piuttosto la cristallizzazione di un’idea su carta; era un veliero in cemento armato con le vele sferzate dal vento; senza dubbio un’idea scenografica, un disegno accattivante, ma nulla di più. Mancava tutta la parte tecnica che avrebbe dovuto trasformare il disegno dell’Architetto in un Progetto! Utzon non se ne era preoccupato, mentre i Giudici del concorso dettero per scontato che l’Architetto sapesse come procedere. Il dado era tratto e non fu possibile tornare indietro. Il progettista, oltremodo sicuro di sé, arrivò a dichiarare: “ We can go to the Moon… of course we can build this building!” – possiamo andare sulla Luna…. Di sicuro possiamo costruire questo edificio! Ma dietro alle dichiarazioni di facciata, la preoccupazione stava dilagando nel cuore di Utzon, fino a quando non ricevette una lettera. […]

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