Arco, volta e cupola: gli sforzi che reggono tutte le strutture.
Nel numero precedente, abbiamo parlato degli unici due sforzi a cui tutte le strutture sono assoggettate nel momento in cui devono trasferire dei carichi o in generale delle forze, ovvero gli sforzi di Trazione e Compressione
Vedremo ora come arco, volta e cupola si distribuiscono in funzione della specifica tipologia strutturale o elemento strutturale considerato.
Archi volte e cupole, Figura 1, furono le prime forme strutturali stabili, insieme alla trave, che l’Umanità seppe dotarsi per coprire gli spazi pubblici (templi, basiliche, ecc.) e privati; essi furono utilizzati anche per la realizzazione di opere infrastrutturali (acquedotti, ponti, ecc.), in particolare l’arco e la volta.
Il motivo per il quale furono le prime strutture ad essere inventate è anch’esso chiaro, esse infatti sono delle forme geometriche che trasferiscono il carico a terra attraverso la sola resistenza a compressione del materiale di cui sono composte; la sollecitazione di compressione peraltro è quella più facilmente comprensibile a livello intuitivo ed i materiali resistenti bene a compressione (in genere male a trazione) sono quelli più facilmente reperibili in natura, adesso come in passato, e più diffusi come ad esempio la pietra ed il mattone.
l’Arco
L’arco lo ritroviamo come forma strutturale presso molti popoli antichi come gli Egiziani, gli Etruschi, ecc., ma i primi maestri e coloro che diffusero l’arco in tutto il mondo civile allora conosciuto furono gli antichi Romani. Ponti ad arco in muratura e in mattoni si trovano lungo tutta la loro rete viaria e alcuni sono ancora oggi funzionanti. I muri esterni del Colosseo (80 d.C.) sono traforati da archi, le terme romane coperte da volte e archi e il Pantheon (120 d.C.) ha una cupola semisferica di circa 43 m fra le più grandi al mondo ed ancora oggi funzionante e perfettamente idonea, Figura 2a. I loro acquedotti trasportavano l’acqua sulla sommità di una serie di archi alti fino a tre ordini sovrapposti, Figura 2b
La luce massima (distanza tra un appoggio e l’altro) di un arco romano era di circa 30 m, e la sua forma era sempre a semicerchio a causa della facilità nell’erigere le impalcature circolari[1] in legno o centine necessarie per la costruzione, Figura 3.
Il funzionamento statico dell’arco dal punto di vista intuitivo è abbastanza semplice, dal punto di vista di calcolo invece si può dire che si sono cimentati per secoli i migliori studiosi fino alla soluzione per così dire meno approssimata di tutte e maggiormente rispettosa della realtà sperimentale che fu quella proposta da Navier nel 1807 e ripresa da Mèry nel 1840 (soluzione “Navier-Mèry”) accettata da tutta la comunità scientifica e con la quale si sono calcolati tutti gli archi in muratura da allora fino ai giorni nostri. […]
Nel numero precedente, abbiamo parlato degli unici due sforzi a cui tutte le strutture sono assoggettate nel momento in cui devono trasferire dei carichi o in generale delle forze, ovvero gli sforzi di Trazione e Compressione
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