Costruire strutture per l’eternità
Riflessioni in merito all’evoluzione costruttiva dalla civiltà romana ad oggi.
Si racconta che i Romani, grandi costruttori e grandi ingegneri (anche se non esisteva all’epoca la figura dell’ingegnere), costruissero strutture per l’eternità.
In realtà dai documenti tecnici in nostro possesso di questo criterio non si trova traccia. Se si va ad indagare si scopre che forse l’unico documento, codice o trattato in nostro possesso che analizza l’arte del costruire all’epoca dei romani è il “De architectura”, dedicato ad Augusto imperatore, di Marco Vitruvio Pollione (80 a.C. – 15 d.C.), architetto e scrittore Romano. Il trattato del Vitruvio si basava essenzialmente su tre principi generali di tipo “prestazionale” che dovevano possedere tutte le costruzioni, senza distinzione di importanza o destinazione d’uso.
Il Vitruvio nella prefazione al suo trattato riportava:
“tutte queste costruzioni devono avere requisiti di solidità, utilità e bellezza. Avranno solidità, quando le fondamenta, costruite con materiali scelti con cura e senza avarizia, poggeranno profondamente e saldamente sul terreno sottostante; utilità, quando la distribuzione dello spazio interno di ciascun edificio di qualsiasi genere sarà corretta e pratica all’uso; bellezza, quando l’aspetto dell’opera sarà piacevole per l’armoniosa proporzione delle parti che si ottiene con l’avveduto calcolo delle simmetrie”.
L’aspetto strutturale che ci riguarda è relativo certamente alla solidità e alla bellezza. Da questo passo nel XVII secolo fu tratta da Claude Perrault una famosa semplificazione del trattato racchiusa in una incisiva e fortunata formula (triade vitruviana) secondo la quale l’architettura deve soddisfare le tre categorie o regole:
- Firmitas (solidità)
- Utilitas (funzione, destinazione d’uso)
- Venustas (bellezza, armonia della geometria e della forma, simmetria).
Come si evince dal passo del trattato Vitruviano non si fa alcun riferimento alla durata delle costruzioni.
A questo punto entrano in gioco considerazioni di carattere filosofico e storiche. Qualcuno dirà che non è riportato il concetto di durata perché si dava per scontato che ciò che si costruiva doveva durare il più a lungo possibile e non sicuramente 50 anni che non rappresenta nemmeno una generazione, sicuramente non per l’eternità in quanto dell’attività umana nulla è eterno (a differenza dell’attività spirituale e religiosa), e questo i romani che erano un popolo pragmatico e risoluto lo sapevano bene.
Oltretutto la civiltà Romana è passata attraverso secoli (più di 1000 anni) senza un eccessivo progresso tecnologico e costruttivo, si basava molto sull’aspetto simbolico per mostrare e consolidare il proprio potere (oltre che con le armi) anche attraverso le costruzioni edilizie (palazzi, ville, dimore) e delle grandi opere (archi trionfali, templi, strade, acquedotti, ponti)realizzate in giro per il mondo allora conosciuto facente parte dell’Impero Romano, e certamente nessun Romano avrebbe potuto accettare che qualcosa da loro costruito potesse crollare, sarebbe stato un disonore! È per questo motivo che costruivano strutture per l’eternità che sono giunte a noi, dopo quasi 2000 anni, alcune ben conservate e altre meno […]
Per leggere l’articolo completo acquista il numero 4 della rivista Lo Strutturista.
Per essere sempre aggiornato e leggere contenuti inediti abbonati alla rivista Lo Strutturista – La prima rivista per gli strutturisti italiani.