Il crollo del palazzo di Viale Giotto
Analisi delle cause che, nel Novembre ’99, portarono al crollo dell’edificio situato nella città di Foggia. A cura di F. Ippolito.
11 novembre 1999, ore 03:12. Bastano soltanto diciannove secondi per accartocciare al suolo un intero palazzo. La città di Foggia piange, dilaniata da un terribile crollo di uno stabile di sei piani in viale Giotto. È la più grave tragedia edilizia della storia italiana ed europea: nel disastro perdono la vita sessantasette persone, dalle macerie vengono estratti soltanto nove superstiti.
In soli diciannove secondi vengono distrutte vite, famiglie, case. Una dolorosa realtà per chi aveva lavorato per anni, spendendo i sacrifici di una vita per abitare in una casa mentre questa lo seppelliva. I soccorsi arrivarono immediatamente: tra Vigili del Fuoco, Protezione Civile, volontari o semplici cittadini si arrivò a scavare addirittura a mani nude. L’Italia intera si svegliò al mattino attonita: le immagini agghiaccianti fecero il giro del mondo, finendo anche sulla CNN americana. Foggia era ricoperta da una densa coltre di fumo grigia. Un successivo incendio nei box (causato dalla presenza di un deposito di materassi) complicò i soccorsi e ridusse drasticamente le poche speranze rimaste. A quindici ore dal collasso fu estratto dalle macerie l’ultimo sopravvissuto, che venne considerato un «miracolato».
Nei giorni seguenti al disastro scattò la psicosi del crollo, così il mondo si pose lo stesso quesito: come poteva un edificio di sei piani cadere su se stesso da un momento all’altro, senza nessun evidente segno premonitore?
Il crollo in viale Giotto
Le cause e l’innesco del crollo
La consulenza tecnica d’ufficio – svolta dagli ingegneri Vitantonio e Amedeo Vitone -individuò le cause del crollo nella concomitanza di gravissimi errori esecutivi, ai quali si andavano ad aggiungere diversi difetti progettuali ed un’insufficiente manutenzione dello stabile.
Specificatamente, la causa principale del disastro era imputabile alla straordinaria vulnerabilità delle strutture portanti in cemento armato.Vennero riscontrate caratteristiche fisiche e meccaniche del materiale da costruzione insolitamente scadenti: la pessima qualità del calcestruzzo utilizzato per la costruzione del fabbricatofu riconoscibile anche da un semplice impatto visivo delle macerie ed in seguito diverse prove in laboratorio confermarono tale ipotesi.
Inoltre il calcestruzzo risultava ovunque poco omogeneo: la quantità degli inerti – fini e sabbiosi – era eccessiva rispetto al legante cementizio e questi erano, tra l’altro, anche mal assortiti.
Il materiale presentava anche una porosità elevata, dovuta ad un rapporto acqua/cemento molto alto (fenomeno del “bleeding”). La smisurata presenza dell’acquariuscì così a spiegare le conformazioni anomale di alcune superfici di distacco notate su alcuni reperti.
A conferma della grossolana modalità di esecuzione dei lavori, nel calcestruzzo venne riscontrata la raccapricciante presenza di corpi estranei, quali scatolette di tonno, pezzi di legno, bambole o materiale di scarto dell’epoca.
L’innesco del crollo in viale Giotto venne individuato nella rottura per compressione di due pilastri del telaio di spina – il numero 24 ed il numero 25 – entrambi posizionati ai lati della cabina dell’ascensore, in corrispondenza delle scale. Tale insufficienza della resistenza locale causò la diffusione del danno nel resto dell’edificio.
La propagazione del danno
Un ulteriore aspetto riguardò la velocità di propagazione del danno: questo infatti non si limitò localmente, ma si diffuse secondo una sorta di “effetto domino”. La causa di questa propagazione è da riscontrarsi nella scarsa duttilità e nell’insufficienterobustezza dello stabile: un palazzo come quello di viale Giotto – edificato con vari difetti progettuali e soprattutto con materiali di qualità scadente – risultò insufficiente da questo punto di vista.
Il crollo, innescato dalla rottura per compressione dei pilastri 24 e 25, si propagò nel resto dell’edificio in diciannove secondi: il palazzo praticamente implose su se stesso. Ricostruendo la cinematica del crollo, lo stabile subì il cosiddetto “effetto pancake”: un tipo di collasso dovuto alla scarsa resistenza delle strutture, caratterizzato da uno schiacciamento verticale (simile proprio a quello di una pila di frittelle). Infatti non avvenne nessuna rotazione delle facciate esterne, soltanto quella adiacente al palazzo gemello subì una piccola rotazione verso l’interno. Dopodiché il danno si propagò tramite il crollo dei piani più alti su quelli sottostanti, tramite schiacciamento.
Per questo motivo sette superstiti su nove furono estratti dalle macerie del sesto ed ultimo piano, mentre i restanti due vennero estratti dai resti del quarto e del quinto piano. Nessun inquilino dei piani inferiori (presente all’istante del crollo) riuscì a sopravvivere.
Prove e verifiche
Mentre le prove di resistenza dettero segnali positivi a riguardo degli acciai (sia sulle barre tonde lisce, che su quelle ad aderenza migliorata), quelle sui calcestruzzi non fecero altro che confermare le prime ipotesi sulla qualità di questo materiale. I risultati vennero pubblicati sulla rivista “Structural Engineering International” dagli ingegneri Fabrizio Palmisano e Claudia Vitone, oltreché dai due consulenti d’ufficio Amedeo e Vitantonio Vitone.
Sulla base di formule del CEB-FIP Model Code 1990, gli studiosi stimarono- dopo un tempo pari a 30 anni – una riduzione della resistenza media a compressione del calcestruzzo dei pilastri della prima tesa del 7,5%.
E ancora, sempre col sostegno delle medesime formule,venne calcolato il coefficiente di scorrimento viscoso (“creepcoefficient”) per i pilastri della prima tesa, che risultò pari a Φ=3,77, molto superiore ai valori delle condizioni usuali, sintomo di un trasferimento di azioni interne dal calcestruzzo alle barre d’acciaio decisamente maggiore rispetto al solito. Addirittura nel caso di un pilastro della prima tesa, venne calcolata una sollecitazione di compressione dopo 30 anni almeno quattro volte maggiore di quella iniziale:ciò spiegava l’instabilità delle barre d’acciaio (alcune trovate inarcate) e la successiva riduzione della sezione effettiva, oltreché l’espulsione del copriferro.
Sui pilastri della prima tesa furono effettuate diverse verifiche allo scopo di calcolare la probabilità di collasso. Una di queste confrontò le sollecitazioni compressive di progetto di ogni singolo pilastro della prima tesa, usando il metodo delle tensioni ammissibili secondo la normativa vigente al momento della costruzione dello stabile (1968), che imponeva come massima tensione ammissibile i 6,0 MPa. Come evidenziato dal grafico, dal pilastro 21 al 29/30 (posizionati al centro dello stabile) le sollecitazioni erano ben oltre il limite consentito.
I risultati, ottenuti tramite un’analisi probabilistica, mostrarono le probabilità di collasso dei singoli pilastri della prima tesa. Dal pilastro 21 al 29/30 vennero calcolati valori considerevolmente fuori norma, tra il 18,5% ed il 46,5%, decisamente maggiori dei valori ammissibili dai codici nazionali ed internazionali, all’ordine dello 0,01%.
Conclusioni
Come certificato dalla perizia, i gravi difetti di progettazione ed esecuzione e la scadente qualità dei calcestruzzi dell’edifico di Viale Giotto, indicarono il collasso dei pilastri 24 e 25 come «formalmente già avvenuto– scrive Amedeo Vitone – dal momento dell’entrata in esercizio dell’edificio»: il palazzo venne costruito tra il 1968 ed il 1971, negli anni del boom edilizio, che tra le sue più gravi conseguenze trovò quello della speculazione.
Non è raro assistere a crolli dovuti a materiali da costruzione di qualità scadente. Molto spesso – nonostante l’avanzare del tempo – alcuni edifici costruiti in maniera pessima continuano a restare in vita per decenni senza nessuninconvenienti, persuadendo alcuni costruttori sleali a continuare laloro intollerabile attività.
La situazione attuale del patrimonio immobiliare, quasi totalmente vetusto ed inadeguato alle attuali normative, riflette un’altissima predisposizione ai crolli edilizi, che però viene ignorata in tempo “di pace”. Purtroppo si discute troppo spesso di prevenzione e manutenzione soltanto sulle onde emotive dei disastri già avvenuti, dimenticando tutto il tempo perso per un’eventuale programmazione degli interventi.
Come la vita terrena di un uomo non è eterna, anche quella dei fabbricati è destinata prima o poi a terminare. Ma con opportuni accorgimenti essa si può prolungare notevolmente: è impensabile credere che un edificio possa sopravvivere al tempo senza adeguati interventi di manutenzione. Si spende di più per ricostruire piuttosto che per mettere in sicurezza: proprio per questo la prevenzione, fonte di salvezza di potenziali vittime, deve diventare parte integrante del modo di pensare dell’industria edilizia italiana. Tirare fuori i buoni propositi solo immediatamente dopo i disastri (per poi rimandare il tutto al crollo seguente) è soltanto controproducente.
Bibliografia
- Amedeo Vitone; Vitantonio Vitone, “Relazione tecnica definitiva della Consulenza Tecnica di Ufficio per il crollo dell’edificio di Viale Giotto a Foggia dell’11.11.1999”, Bari, Studio Vitone & Associati, 2001.
- Fabrizio Palmisano; Amedeo Vitone; Claudia Vitone; Vitantonio Vitone, “Collapse of the Giotto Avenue Building in Foggia”, Structural Engineering International, XVII, 2, 2007.
- Amedeo Vitone, “Diagnosi preventiva delle patologie strutturali: insegnamenti anche dalla analisi autoptica di crolli”, in Studio Vitone & Associati, 2010.
- Francesco Ippolito, “I crolli degli edifici”, Bari, Politecnico di Bari, 2018.
- Sandro Dei Poli, “Crolli e lesioni di strutture”, Milano, Hoepli, 1942.
- Davide Grittani, “Colpa di nessuno: Viale Giotto, una tragedia all’italiana”, Foggia, Utopia Edizioni, 2004.
- CEB, “CEB-FIP Model Code 1990”, Losanna, Thomas Telford, 1993.
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