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Progettazione

L’originale diga sul San Lorenzo negli Stati Uniti

A volte cimentandosi nello studio delle vecchie opere di ingegneria si viene a conoscenza dell’applicazione di idee e soluzioni tanto originali che, anche da ingegneri, ci stupiscono non poco soprattutto per l’intelligenza e spesso per il coraggio, con cui quei cari “vecchi” colleghi, hanno affrontato problemi complicati utilizzando i pochi e semplici mezzi a loro disposizione.

28 Ottobre 2024
ing. Giuseppe Patraccone
ingegnere strutturista

È il caso dell’argomento trattato nel presente articolo, del quale sono venuto a conoscenza per caso, sfogliando una vecchia edizione del “Giornale del Genio Civile” anno 1906.

La rivista pubblicava notizie riguardanti opere d’ingegneria di una certa importanza, realizzate in tutto il mondo e tra i tanti, l’argomento che più ha attirato la mia curiosità, è stato quello della costruzione di una diga sul fiume San Lorenzo, lato Stati Uniti, creata dalla demolizione di un grande pilastro in calcestruzzo.

L’articolo portava il seguente titolo:“Impianto d’una diga sul fiume San Lorenzo (S.U.) coll’abbattimento di un pilone di calcestruzzo”.

Perché la necessità di una diga

Già nei primi anni del novecento le aziende che prelevavano acqua dal San Lorenzo, in particolare centrali idroelettriche che utilizzavano l’energia delle cascate del Niagara, erano tante. Ciò portava, nei periodi di magra, al parziale prosciugamento dei canali interni, importantissimi per il sistema di navigazione il quale prevedeva, tra l’altro, il transito di navi mercantili di grandi dimensioni e con pescaggi notevoli.

Per risolvere il problema, si pensò di aumentare il pelo libero dell’acqua partendo da un punto che si trovava a circa 2500 m a monte delle cascate del Niagara.

Ma le condizioni ambientali non permettevano la realizzazione di una diga ordinaria perché la velocità della corrente era troppo elevata; inoltre, per permettere il passaggio dei blocchi di ghiaccio trasportati dalle acque nei periodi più freddi, era necessario che la barriera fosse distanziata dalla sponda del fiume di circa 4 – 5 m e avere un’inclinazione abbastanza elevata di circa 70°.

Il progettista incaricato, l’ing. Randolph, fece ricorso a una soluzione molto originale, pubblicata su varie riviste tecniche americane, tra le quali la “Scientific American”.

Getto del pilone e sua demolizione

Nei pressi di una delle due sponde fu costruita un’impalcatura di legno alta circa di 6 m che fungeva da base di partenza per il pilastro di calcestruzzo, il quale aveva una sezione quadrata di 2,20 m di lato e 15 m di altezza e fu realizzato suddividendolo in sei blocchi: il primo da 3 m, e gli altri cinque da 2,40 m. In questo modo, al momento dell’impatto, la colonna si sarebbe spezzata in corrispondenza delle giunzioni, adattandosi al letto del fiume.

Ovviamente, i vari conci, dovevano creare un unico corpo e si sarebbero dovuti separare solo in seguito all’impatto. A tale scopo, il piano di rottura tra un blocco e l’altro, fu creato assottigliando il pilastro attraverso l’interposizione di telai in legno; inoltre, per garantire un’adeguata rigidezza tra i blocchi, questi furono connessi tramite barre di ghisa del diametro di 5 cm e della lunghezza di 30, che si sarebbero spezzate in seguito alla caduta.

Infine all’interno del pilastro, fu annegata una grossa catena di ferro, del peso di circa 360 kg, per evitare che i blocchi si distanziassero eccessivamente dopo la rottura.       

Il peso complessivo del pilone, una volta ultimato, superava le 180 tonnellate.

Particolare attenzione fu posta alla realizzazione dell’impalcatura di legno, la quale doveva consentire il posizionamento di 3 martinetti idraulici al di sotto della base, necessari per sollevare la struttura e provocarne il ribaltamento.

Il 9 novembre 1905, si procedette con la fase di abbattimento del pilastro. Come previsto esso cadde nella posizione voluta, le barre di ghisa si spezzarono determinando la separazione dei blocchi e lo spazio occupato dall’impalcatura creò un opportuno passaggio per i ghiacci galleggianti, largo circa 4,50 m.

Unico inconveniente fu che due blocchi, al momento dell’impatto, si spezzarono in punti non previsti; ciò fu attribuito al fatto che la realizzazione di quelle due parti di pilastro, avvenne in momenti diversi, quindi si crearono superfici meno resistenti dovute alla ripresa di getto.

Nonostante tutto, questa rottura imprevista non provocò alcun ostacolo al buon funzionamento dell’opera, grazie alla quale si ottenne un aumento del pelo libero dell’acqua di 0,255 m risolvendo, seppur in parte, le problematiche relative alla diminuzione di profondità dei canali interni.

Fasi della realizzazione della diga: 1) preparazione dell’impalcatura e della cassaforma; 2) Pilastro ultimato; 3) Ribaltamento del pilastro.
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