Un ponte tra la teoria e la pratica
L’ing. Borgogni ci porta alla scoperta dello storico progetto per costruire il Ponte Britannia
All’inizio del XIX secolo, il principale porto di imbarco per i passeggeri che viaggiavano in Irlanda era Liverpool. Quando questa città fu collegata da una ferrovia a Londra, gli imprenditori locali iniziarono a cercare alternative per abbreviare la traversata marittima, fornendo un ulteriore collegamento ferroviario a un porto sulla costa gallese. L’isola di Anglesey era collocata al largo della costa del Galles del Nord e la città di Holyhead, all’estremità occidentale, era una delle due località considerate per il porto. I tecnici delle ferrovie esaminarono il percorso da Chester a Holyhead. Uno dei principali ostacoli sul percorso ideato era l’attraversamento sullo stretto di Menai tra il Galles continentale e Anglesey. Per risolvere si propose di utilizzare una carreggiata del grande ponte sospeso di Thomas Telford, costruito nel 1826. Tuttavia, le masse delle locomotive a vapore destinate a coprire la tratta ferroviaria in progetto, resero impraticabile il disegno originario.
L’incarico del progetto fu affidato a Robert Stephenson, un brillante ingegnere ferroviario, che individuò al centro dello stretto di Menai un affioramento di terra, denominato “Britannia Rock” e ritenuto idoneo per la costruzione di pile centrali. La prima idea fu quella di costruire un ponte ad arco, tuttavia, tale proposta venne respinta dalle autorità competenti (sotto la pressione degli imprenditori locali) poichè in fase di costruzione avrebbe reso inservibile quella via di comunicazione.
A questo punto, nel bel mezzo di uno struggimento progettuale, che sembrò condurre il progettista a gettare la spugna, incurante delle difficoltà e dei limitati mezzi di analisi Stephenson suggerì di costruire un ponte tubolare in ferro da realizzare con piastre rivettate, all’interno del quale sarebbe stato ricavato lo spazio per la circolazione dei treni. Il tutto, originariamente, doveva essere sospeso a grandi catene metalliche. Resosi subito conto delle difficoltà dovute ai venti impetuosi che spiravano sullo stretto di Menai, Stephenson iniziò a selezionare la forma più aereodinamica per l’impalcato e la scelta ricadde su un profilo circolare ed uno ellittico. Data la grande indeterminazione delle grandezze in gioco, Stephenson, in favore di sicurezza, decise di trascurare completamente il contributo delle catene di sospensione.
Il Progettista era estremamente preoccupato riguardo la redistribuzione del carico, causata dall’interazione tra due sistemi strutturali con rigidezze estremamente diverse (catene e impalcato tubolare). Tuttavia, dopo delle indagini sommarie, si rese conto della fattibilità dell’opera e la sottopose al vaglio delle autorità competenti, le quali accettarono la proposta con la riserva di installare, in ogni caso, le catene di sospensione come una sorta di presidio di sicurezza da utilizzare durante la costruzione e da lasciare in opera al termine dei lavori.
Il progetto definitivo si presentava, alla fine, come una trave continua a sezione tubolare formata da due campate centrali di 144 metri e due travi laterali di 74 m, poste ad una altezza di 30 metri dal pelo dell’acqua. Solo due problemi dovevano essere risolti prima di iniziare i lavori: alla fine del 1800 non esisteva un metodo analitico rigoroso (ma allo stesso tempo di facile applicazione pratica) per determinare le caratteristiche di sollecitazione di una trave continua e, una volta note le sollecitazioni, andava verificata la sezione tubolare. In pratica quello che Stephenson presentò come progetto definitivo era solo una idea sfocata della struttura che avrebbe dovuto realizzare, presentata in modo accattivante per convincere le Autorità, ma praticamente inutile sul piano realizzativo[…]
Per leggere l’articolo completo acquista il numero 6 della rivista Lo Strutturista.
Per essere sempre aggiornato e leggere contenuti inediti abbonati alla rivista Lo Strutturista – La prima rivista per gli strutturisti italiani.